Viaggio nella città che dà il nome a un eccelso vino Doc, per brindare a leggende irlandesi, miracoli nostrani, cattedrali gotiche e piaceri del palato. A Orvieto, Citta Slow, arte e cultura si legano tanto ai luoghi dello spirito quanto a quelli della terra, tra pozzi senza fine, palazzi sontuosi e cibi indimenticabili.
Si narra che, in seguito a una visione, San Patrizio si fosse messo a scavare un pozzo miracoloso: chiunque vi fosse entrato avrebbe dovuto superare una lunga serie di prove durissime. Una volta affrontate tutte, però, avrebbe ricevuto come ricompensa l’assoluzione da ogni peccato. Ma non basta: in fondo al pozzo, invece di un impenetrabile e ostile buio, il pellegrino avrebbe trovato una sorta di giardino dell’Eden, stracolmo di prelibatezze e circondato da un panorama ineffabile. Ad attendere il viandante una schiera di angeli e San Patrizio in persona.
Fin qui la leggenda, anche se, per onor di correttezza, il mito del pozzo infinito ricolmo di ricchezze si riferisce a un abisso che la credenza medievale voleva frequentato sì dal santo, ma in Irlanda, sull’isolotto di Lough Derg, nella contea di Donegal.
Magia sotterranea
Il Pozzo di San Patrizio e quello della Cava: due esempi di ingegneria del sottosuolo per un viaggio che inizia dal profondo.
Comunque sia, il pozzo di San Patrizio orvietano, profondo 53,15 metri e tra i più noti al mondo, evoca proprio quell’abisso e fa della nostra meta umbra una cittadina ancor più ricca di mistero.
Tra campi e vigne, Orvieto già si mostra superba al turista dall’alto della sua rocca di tufo, le cui pareti sembrano cosi impervie che si stenta a credere di poter giungere in città . Affacciata sulla vallata del fiume Paglia, in provincia di Terni, ha radici etrusche, passato medievale, fascino gotico e atmosfera mistica. I suoi due vanti principali, conosciuti in ogni angolo del mondo, sono la cattedrale gotica (raro esempio architettonico in una terra, l’Italia, più legata al romanico) e, appunto, il pozzo di San Patrizio. Ed è da un punto di vista fuori dai canoni che decidiamo di dare inizio alla scoperta di questa perla umbra: il sottosuolo.
Se il suo omonimo irlandese si circonda di infinite leggende, il Pozzo di San Patrizio orvietano è famoso ancor di più per la sua struttura. Commissionato nella prima metà del Cinquecento da papa Clemente VII all’ottimo architetto Antonio da Sangallo, doveva servire per approvvigionare d’acqua la popolazione in caso di assedio. Un vero capolavoro di ingegneria che vede due rampe elicoidali intersecarsi, ognuna a senso unico e autonoma: uno stratagemma per consentire ai muli di scendere e risalire dopo aver caricato acqua senza mai incontrarsi e dunque intralciarsi lungo il cammino. Con i suoi 248 gradini e 70 finestre può essere a buon diritto la prima meraviglia che il turista sceglie di visitare.
Il sottosuolo della città cela molte altre perle: contando solo quelle censite si contano infatti circa milleduecento cavità artificiali realizzate sottoterra a partire dal periodo etrusco, per ricavarvi cunicoli, cisterne e pozzi. Tra le varie opere di ingegneria sotterranea va visto certamente il Pozzo della Cava, scavato nei secoli avanti Cristo, ma utilizzato anche in epoca medievale e ristrutturato nel Cinquecento. Lo si trova lungo l’omonima strada e la sua visita impressiona tanto per l’interminabile precipizio quanto per le leggende, anche macabre, che attorno ad esso si sono create. Tra i più profondi di Orvieto, ebbe fama di luogo assai pericoloso, capace di “ingoiare†corpi di soldati, coprire delitti, causare sciagure. Nel 1820, il Delegato Apostolico chiedeva che “i pozzi aperti ma inservibili, che sono pericolosissimiâ€, venissero chiusi, ma così non fu e molte anime vi sparirono dentro. Oggi la fama è stata ribaltata e a Natale il Pozzo della Cava ospita un presepe di elevato valore artistico e grande creatività . Ogni anno cambia l’ambientazione storica e chi si trova a Orvieto nel periodo delle feste non può mancare la visita.
Tra gotico e capolavori dello spirito
Severa e mistica, la cattedrale, nota in tutto il mondo, è una tappa obbligata.
Ritornati all’aria aperta, la presenza della cattedrale si fa sentire ovunque, come impaziente di mostrarsi. E lo stupore di chi giunge in piazza del Duomo, finalmente a cielo aperto, si coniuga a un silenzio carico di mistica ammirazione davanti a un’opulenza di dettagli che vuole essere omaggio alla spiritualità di tutta una regione.
Voluta nel 1290 da papa Niccolò IV, la chiesa in verità nasce romanica (e non meraviglia visto che negli stessi anni il gotico muoveva i primi passi nella sua patria d’origine, la Francia). Il progetto è del grande maestro Arnolfo di Cambio, ma già 20 anni dopo il cantiere passa sotto la supervisione di Lorenzo Maitani, ideatore della facciata oggi nota in tutto il mondo. Quel che ne nasce è un gotico tutto nostrano, con archi stondati, sovrastati da cuspidi triangolari e abbelliti non solo da altorilievi, come vuole lo stile originario, ma anche da un’infinità di mosaici, in vero rimaneggiati nei secoli. Moderne lastre di bronzo raccontano le opere di misericordia e un rosone centrale, nella facciata alta preannuncia la luce divina che illumina gli interni tanto severi e semplici da commuovere il fedele. Divisa in tre navate, la cattedrale poggia su file di pilastri marmorei a fascioni bianchi e neri, come vuole la tradizione locale. La navata centrale ha soffitto a capriate mentre le restanti sono a volte e non deve stupire se non tutti gli archi sono a sesto acuto: l’Italia rimane comunque legata a doppio filo al Romanico. Oltre all’architettura, il Duomo di Orvieto merita di essere visitato per l’eccezionalità delle opere d’arte che in esso trovano collocazione. Per citare solo le più importanti, nella cappella rinascimentale di San Brizio colpiscono gli affreschi di due grandi maestri attivi fra Umanesimo e Rinascimento: il “Teorico della luce†Beato Angelico (che tanta influenza ebbe su un altro grande di queste terre, Piero della Francesca) e l’inquieto Luca Signorelli. Ma c’è un altro capolavoro che non può non essere menzionato: si tratta del Reliquiario del Corporale di Bolsena, in smalto traslucido (come da tradizione gotica tedesca), che riproduce la facciata del Duomo con scene della vita di Cristo e scene del miracolo di Bolsena. La sua presenza nella chiesa non è un caso: fu proprio per dare degna collocazione al Corporale, che papa Niccolò IV diede inizio ai lavori della cattedrale.
Il miracolo di Bolsena
Nel Duomo la testimonianza di uno dei più importanti segni della Cristianità .
Ma forse non a tutti è noto di quale miracolo si tratti. Era dunque il 1263 quando il religioso Pietro da Praga, nutrendo dubbi sulla transustanziazione del corpo del Cristo, si recò a Roma. Facendo sosta a Bolsena, in provincia di Viterbo e oggi nota per il suo bel lago, si mise a celebrare messa sulla tomba di Santa Cristina: fu allora che vide il sangue stillare dall’Ostia consacrata per finire a bagnare il corporale e i lini liturgici. Fortemente scosso, Pietro da Praga si recò a Orvieto, residenza di papa Urbano IV. Il pontefice fece portare a Orvieto il lino insanguinato e lo mostrò ai fedeli. Un anno dopo venne promulgata la bolla “Transiturusâ€, che istituiva la festa del Corpus Domini. E questo proprio nella città allora controllata spiritualmente di Patarini, eretici che negavano l’Eucarestia.
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Potere spirituale e potere temporale
Molti i palazzi che meritano di essere visitati e che fanno di Orvieto un gioiello di architettura medievale.
Per proseguire la visita a Orvieto rimanendo nei luoghi dello spirito, a brevissima distanza dal Duomo, dopo il Palazzo Vescovile, non passa certo inosservata la mole tardo-duecentesca di Palazzo Soliano, detto anche Palazzo di Bonifacio VIII, che lo scelse come residenza. Anche dall’esterno è facile notare come la struttura sia composta da due sale l’una sovrapposta all’altra: quella inferiore ospita oggi il Museo Emilio Greco, quella superiore il Museo dell’Opera del Duomo, entrambi meritevoli di visita. Due le tradizioni attorno alla sua realizzazione: secondo alcuni lo volle proprio il grande pontefice, secondo altri fu il popolo a farlo erigere in suo onore.
Ci si occupava invece di affari terreni all’interno del Palazzo del Capitano del popolo, realizzato nella seconda metà del Duecento per essere adibito a centro di potere. Oggi destinato a ospitare congressi, fu pesantemente rimaneggiato nell’Ottocento, ma conserva ancora splendide trifore ad arco e la merlatura ghibellina; gli scavi più recenti hanno portato alla luce reperti archeologici sia etruschi sia medievali, un tempio del V secolo, una cisterna e un acquedotto.
Il tempo scorre in fretta, ma non occorre orologio per sapere a che punto volge la giornata: basta alzare gli occhi e intercettare la mole della Torre del Moro, orologio ufficiale di Orvieto. Vi si può accedere da una delle porte del Palazzo dei Sette, vale a dire i rappresentanti delle Arti. Si tratta della torre civica e prende il soprannome dallo stemma sul portale acanto alla torre. Alta 47 metri, la torre culmina con due campane, una delle quali venne fusa a inizio Trecento per il Palazzo del Popolo e mostra i rilievi dei 25 simboli delle arti più il sigillo del popolo.
Una necropoli a forma di cittÃ
Quella del Crocefisso presenta tombe disposte come abitazioni.
Uscendo di poco dalla città , si fa una balzo deciso nel passato. Del gran numero di necropoli presenti nella zona e sommerse dalle successive stratificazioni di epoca romana, quella detta “del Crocefisso†è la più significativa e meglio conservata. Deve il nome da un’incisione nel tufo all’interno di una cappella rupestre e la si raggiunge percorrendo una strada pedonale che, costeggiando la rupe, parte dal piazzale antistante la Porta Maggiore. Le circa 70 tombe in tufo, edificate secondo lo stile etrusco e databili tra VIII e II secolo a.C., sono disposte come fossero case e questo perché il culto funerario degli orvietani, simile a quello degli etruschi, prevedeva che il morto continuasse la sua vita nell’aldilà e con sé portasse la sua stessa vita: in queste tombe-abitazioni si ritrovano infatti fibule, specchi femminili, lance per i guerrieri e vari oggetti di uso quotidiano. Oggi non tutte le tombe sono visitabili e tra quelle accessibili si contano per lo più quelle monofamiliari e le più piccole. All’interno si può osservare il piano dove veniva deposta la salma, poi chiusa all’interno serrando l’ingresso con terra pressata davanti alla quale venivano posti cippi con forme diverse, ad indicare il sesso del defunto: a forma di cipolla per gli uomini, di cilindro per le donne. Al di sopra dell’ingresso, inoltre, un’incisione indica il nome o la famiglia d’origine del sepolto.
La strada dei vini
Ormai fuori dalle mura, non resta che lasciare Orvieto nel migliore dei modi: bevendoci sopra.
Dopo pozzi, leggende, cattedrali, palazzi e tombe, ormai è tempo di puro piacere e, visto che la città è alle nostre spalle, non resta che percorrere un tracciato esterno caro a Dioniso: la Strada dei Vini della provincia di Terni. E’ il modo migliore per concludere una visita così carica di misticismo e cultura che ci ha portato in una città , Orvieto, capace di muoversi fluidamente tra sacro e profano. Qui, per volere della Provincia di Terni, il complesso del San Giovanni, sede del palazzo del Gusto, è stato riconosciuto enoteca di interesse regionale. Non andrebbe neppure detto, a questo punto, che per brindare al viaggio non mancano certo i Doc e Docg, tutti da scoprire nel percorso che si snoda tra Orvieto e Amelia. Un consiglio: meglio avere al seguito una mountain bike, perché non tutte le strade sono percorribili in camper. Chi lo desidera, tuttavia, può aggiungere piacere ulteriore, muovendosi a cavallo. Si parte dunque alla volta di quella che viene chiamata la “Strada dei vini etrusco-romana†e che si snoda al di qua e al di là del Tevere. Citando volutamente solo i vini dell’Orvietano, di cantina in cantina si potranno degustare il Bianco Doc (Orvieto Classico, Orvieto Classico superiore, Orvieto, Orvieto Superiore) e il Rosso Doc (Orvietano e Lago di Corsara). Tra sentieri e vigneti, l’occasione sarà anche buona per scoprire borghi medievali dal fascino intatto, come Montecchio, Melezzole e Tenaglie, circondati da boschi di castagno; oppure, lungo la valle del Chiani, vistare i castelli di Parrano, Fabro, Carnaiola e la Sala, gustandosi una bistecca di chianina proprio nella zona di produzione. Il tutto senza scordare di alzare un calice in onore dell’ospitalità orvietana.
Cosa mangiare
Gusti decisi e preparazioni antiche quelle che arricchiscono le tavole orvietane. Si inizia con i salumi, da assaporare con pane abbrustolito ripassato nell’aglio. Si passa a tagliatelle, risotto o gnocchi al tartufo, oppure al brodetto di pesce, alle tagliatelle alla trota, ma anche a cotechino o salsiccia con le lenticchie, pancotto, minestra di ceci e castagne. Tra le carni la scelta è assai ardua: l’agnello tartufato o la gallina ‘mbriaca? Le scaloppe al Vinsanto o il castrato ai ferri? E perché non lasciarsi tentare dalla testina di agnello fritta, dai tordi allo spiedo, dal cinghiale alla cacciatora? Se invece si preferisce proseguire con il pesce allora ecco carpe in porchetta, anguille in tegame, persico fritto, arrosti di anguilla e coregone. Per chiudere in bellezza, nel periodo della vendemmia vanno assaggiati i biscotti al mosto e tutto l’anno la torta ai pinoli. Su tutto, lo splendido vino della zona, che sia l’Orvieto Doc nelle sue declinazioni (vedi articolo) e vinificato dalle uve Procanico, Verdello, Malvasia, Grechetto e Drupeggio, profumato, secco, armonico e leggermente amarognolo, oppure i rossi di media forza o strutturati.
Non è un caso se in una città dove la cura data al cibo è elevatissima sia stata fondata l’associazione internazionale Cittaslow , ispirata ai principi di Slow Food e fondata ad Orvieto nell’ottobre 1999. La sede centrale della Rete internazionale di Cittaslow è ospitata a Orvieto. Intento dell’associazione è mantenere salda l’identità delle comunità , messe a dura prova dalla globalizzazione, anche dei sapori.
Da vedere a Orvieto
Orvieto è città davvero ricca di storia ed è difficile elencare tutti i punti di interesse storico-artistico. Certamente, oltre alla cattedrale, ai pozzi di San Patrizio e della Cava, alla Necropoli del Crocefisso, merita attenzione la chiesa di Sant’Andrea, dell’XI secolo. Va però detto che i successivi restauri, fino al Novecento, ne hanno notevolmente cambiato l’aspetto. L’impianto, però è degno di nota e all’interno sono ancora visibili un pulpito cosmatesco e un ciclo di affreschi che va dal ‘300 al ‘600. Nella cripta, le tracce della prima edificazione.
Della chiesa di San Domenico, edificata nel 1233 sulle rovine di un tempio pagano, oggi resta invece quanto sopravvissuto alla demolizione del 1932 per la costruzione dell’Accademia Femminile di Educazione Fisica. Al suo interno sono comunque visibili la cattedra utilizzata da San Tommaso durante le lezioni di teologia, che tenne a Orvieto tra il 1263 e il 1264, e il Mausoleo del cardinale De Braye realizzato dal Arnolfo di Cambio attorno al 1282.
Altre tre chiese meritano l’ingresso: sono quelle duecentesche di San Francesco e di San Lorenzo e la trecentesca chiesa di San Giovenale. Tra i musei, da non perdere il Faina, con reperti di arte antica e preistorica, nell’omonimo palazzo in piazza del Duomo, il museo Emilio Greco nel trecentesco Palazzo Soliano, che ospita 32 sculture in bronzo e 60 opere grafiche che il maestro, autore delle porte bronzee del Duomo, donò alla città , e quello dell’Opera del Duomo. Vi è poi un lunghissimo elenco di palazzi, da quelli medievali a quelli di epoca moderna, che il turista incontra lungo il cammino. Accanto al Duomo, il Palazzo vescovile, dimora papale, venne fatto erigere da Benedetto VII nel 977 e nelle stanze del pianto terra ha sede il Museo archeologico nazionale con le “tombe Golini†del IV secolo a.C.
Oltre ai palazzi già menzionati nell’articolo, tra quelli medievali va visto almeno dall’esterno il duecentesco Palazzo Medici, presso Porta Romana: da notare le finestre dell’ultimo piano, con motivi ornamentali di pregio. Passando al Rinascimento, superano la trentina gli edifici degni di menzione oltre il già nominato Palazzo dei Sette e converrà , volendo, munirsi presso l’ufficio turistico di una guida che ne illustri in dettaglio particolarità e percorsi. Oppure basterà passeggiare per Orvieto godendosi lo spettacolo di un’architettura che non lascia mai senza emozioni. Anche Otto e Novecento hanno dato segni importanti negli edifici, come il lato destro del Palazzo dell’Opera del Duomo, che ha inglobato l’ala più antica. Ottocentesco è pure Palazzo Faina, con la suddetta collezione. Meritano anche le stanze del palazzo, con le relative originali decorazioni, come quella della sala delle ore, di cui se ne rappresentano quattro: bagno, toletta, ricreazione e studio. Di Palazzo Nitti va notata la facciata, con i simboli basilari secondo il fiorentino Smerrini, che lo fece ricostruire: aria, lavoro, scienza, acqua, terra, fuoco, studio, sapere, energia, vita. Infine, l’arco del Palazzo comunale, fatto edificare nel 1857 in occasione della visita di papa Pio IX, ricorderebbe nello stile la michelangiolesca Porta Pia di Roma.
Cambiando completamente registro, chi si trova a Orvieto nel periodo natalizio a cavallo del nuovo anno non perda un appuntamento con uno dei più importanti eventi musicali: l’Umbria Jazz Winter, vale a dire il festival del jazz che per Natale si sposta a Orvieto.
Come arrivare
Orvieto si raggiunge sia da Nord sia da Sud comodamente in autostrada, imboccando l’A1 Firenze-Roma e uscendo a Orvieto. In alternativa, per chi magari si trova già in Umbria, si può percorrere la superstrada E45 Perugia-Todi con uscita Todi-Orvieto e poi la SS448 Todi-Orvieto. Infine porta a Orvieto anche la SS71 “Umbro Casentinese†Arezzo-Viterbo.
Informazioni
Strada dei Vini Etrusco Romana: presso Servizio Turistico dell’Orvietano, Piazza Duomo 24, Orvieto
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Fausto.
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