

‎Alberto Brozzi‎ a Sei di Orvieto se…
FRANCESCO MOCHI
VERGINE ANNUNZIATA
“Nel 1608 Francesco Mochi fu chiamato la seconda volta ad Orvieto per eseguire la Vergine Annunziata, che doveva corrispondere all’Angelo Annunziante che lo scultore aveva terminato tre anni prima. Solo a notevole distanza dalla prima opera, e non subito, come ha ritenuto finora quasi tutta la critica, i Soprastanti dell’Opera del Duomo decisero di valersi nuovamente dello scultore di Montevarchi dichiarandosi soddisfatti dell’Angelo e certi che sarebbe riuscita bene anche la Vergine.
Secondo tale nuova cronologia, questa fu compiuta in tempi brevi: agli inizi del 1608 fu deciso di dare l’incarico al Mochi e già nel settembre del 1609 si provvedeva al saldo completo. Tale rapidità di esecuzione fa pensare che l’idea iniziale fosse già presente nella mente dello scultore quando lavorava all’angelo. È, infatti, la vergine è legata ad esso da un intenso rapporto dinamico e spirituale, oltre che formale. I pagamenti, per un totale di 525 scudi – si era deliberato di pagare la vergine 100 scudi in meno dell’angelo perché non era “di quella fatiga che si crede essere stato fatto l’angelo†– erano iniziati il 10 settembre del 1608 ed erano già completati il 24 settembre 1609. Anche per la Vergine come per l’Angelo, dopo un apprezzamento favorevole per tutto il Seicento e le scarse citazioni del secolo seguente, il criterio di valutazione della fine del Settecento fino alle soglie del nostro secolo è caratterizzato da riserve sul modo di raffigurare il tema, così diverso dalla tradizione precedente. “Vergine spartanaâ€, opera che sembra “di antico e buono scalpelloâ€( Della Valle 1791) sono giudizi che instaurano un collegamento con l’antichità . Il collegamento con la scultura antica, oltre che dai tratti fisionomici del volto, è suggerito dei piani delle superfici che riassorbono e distendono, insieme alla luce, la tensione spirituale del personaggio, in modo analogo a quanto aveva fatto Stefano Maderno nella Santa Cecilia per la chiesa omonima. I contatti con il Maderno, che a detta del Baglioni (1642) restaurava e riproduceva in terracotta statue antiche, ed ebbe una famigliarità profonda con la scultura classica, furono probabilmente importanti per il Mochi, e poterono essere approfonditi durante i lavori per la cappella Paolina in Santa Maria Maggiore. Per la vergine il Mochi ebbe presente probabilmente una musa, ora inserita nel gruppo dei “Niobidi†alla galleria degli Uffizi, ma già a villa Medici a Roma fin dalla fine del Cinquecento , quando fu trovata in una vigna romana. Singolari analogie fra questa scultura e l’Annunziata si possono indicare sia nella accentuata “ponderatioâ€, che nella piega verticale che dal seno giunge fino a terra. Al Cicognara (1824) non sfuggì il carattere austero della vergine di Orvieto, non trovandovi “quella modestia e dolcezza propria del gentil carattere che devesi attribuire alla Madre di Dioâ€.
L’aspetto poco consono al personaggio fu criticato anche dal Luzi ( 1866) che la definì una “statua paganaâ€. Forse per questi motivi il vescovo di Orvieto, Giacomo Sannesio, quando la statua fu terminata nel 1609 si oppose alla sua collocazione nel Duomo, che fu infatti ritardata di almeno tre anni. Nel 1612, tuttavia, i Soprastanti mostrarono la volontà di contrastare il volere del vescovo, “se non sarà allegata causa giusta per la quale non se possa mettere suâ€. Maria è ritratta mentre balza in piedi, e scosta con impeto la sedia all’indietro, così da porla in equilibrio instabile. Questa invenzione potrebbe essere il rapporto con il pensiero simile del secondo San Matteo del Caravaggio. La Vergine si protegge in un gesto istintivo con il velo, stringendo a sé il libro; la veste leggera aderisce al corpo tornito e maestoso in piedi, che ne resta avvolto e mette in risalto la torsione a spirale di tutta la figura. Lo scanno che il Cicognara criticò come “accessorio volgareâ€, contribuisce ad accentuare l’affetto terreno e domestico della Vergine (Borea 1966), come pure il velo che scivola dal capo e scopre la folta massa di capelli raccolti sulla nuca e la veste che resta impigliata nello spigolo della seggiolaâ€
MADDALENA DE LVCA SAVELLI
LE OPERE DEL MOCHI
ed. Cento di 1981
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